CONTRATTI A CANONE CONCORDATO (3 + 2), COME CALCOLARE LA PRIMA SCADENZA DEL CONTRATTO
Da molti anni, cioè praticamente da quando è entrata in vigore la L.431/98, si discute su quale sia l’ulteriore durata dei contratti previsti dall’art.2 comma 3 L.431/98, cioè dei c.d. contratti concordati o concertati, con durata di 3 anni più 2, quando si rinnovano automaticamente alla fine dei 5 anni.
Sicuramente l’incertezza è dovuta alla ambiguità della norma che, al comma 5, recita: “Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto si rinnova alle medesime condizioni”.
E proprio la frase “alle medesime condizioni” ha creato non pochi dubbi, facendo sorgere la domanda: dopo i primi 5 anni il contratto si rinnova per altri tre anni, per due o per altri tre più due?
La dottrina e la giurisprudenza, per la verità, hanno da tempo risolto il quesito, ritenendo che le parole di cui sopra debbano coordinarsi con la frase precedente che recita: “Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni”, ritenendo, giustamente che la proroga si applichi solo alla prima scadenza contrattuale. Pertanto, applicandosi la proroga biennale solo alla prima scadenza contrattuale, alla fine dei 5 anni il contratto si rinnova per altri tre anni, e così di seguito di tre anni in tre anni. Non può certo rinnovarsi di due anni perché non può aversi una proroga della proroga, e tantomeno può rinnovarsi di tre più due perché la proroga si può avere solo una volta, alla prima scadenza, e qui invece si avrebbe un’altra proroga alla seconda scadenza contrattuale .
Tale interpretazione è certamente la più logica e coerente, nonché la più corretta alla luce dei principi generali del diritto. Non a caso viene applicata in tutti i tribunali d’Italia.
Ma se a livello giurisprudenziale, cioè nelle aule dei tribunali, è ormai pacifico che i contratti concordati, dopo la proroga biennale, si rinnovano di tre anni in tre anni, non dello stesso parere sono gli uffici dell’Agenzia delle Entrate sparsi sul territorio. I quali, con grande gioia degli contribuenti e dei nostri operatori Asppi, non sono neppure coerenti tra di loro, perché ogni ufficio interpreta la norma a modo suo: c’è quello che rinnova il contratto di soli 2 anni, quello che lo rinnova di 3, quello che lo rinnova di 3 + 2. Tanto per fare degli esempi, l’Agenzia delle Entrate di Torino proroga il contratto di 3+2; l’Agenzia delle Entrate di Bologna rinnova il contratto (per fortuna correttamente) di tre anni in tre anni; quella di Pistoia di 2; quella di Reggio Emilia di 3+2.
Il problema è che, fatte pochissime eccezioni, gli uffici non sentono ragioni e pretendono di rinnovare il contratto per la durata che pare a loro.
Questa situazione crea confusione tra gli utenti e genera grande incertezza in relazione alla effettiva scadenza dei contratti concordati, con conseguenti difficoltà anche per i nostri uffici, che si trovano a non saper spiegare al proprio iscritto, soprattutto in relazione alla disdetta del contratto, per quale motivo non vi sia coincidenza tra la scadenza del contratto stabilita dall’Agenzia delle Entrate e quella che ormai tutti i Tribunali ritengono corretta in base alla legge.
Poiché, è evidente, in un’eventuale azione finalizzata al rilascio dell’immobile per finita locazione chi decide è il tribunale non certo l’Agenzia delle Entrate, va detto che l’indicazione da dare all’associato sulla scadenza contrattuale è quella secondo cui il contratto, dopo i primi 5 anni, si rinnova di tre anni in tre anni.
Va poi detto che su questa questione è intervenuto, inutilmente a quanto pare, anche il parere ufficiale della Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate, che in data 27.06.2017, rispondendo al quesito sul punto rivolto da un’associazione di proprietari (non la nostra), ha precisato e chiarito che l’Agenzia delle Entrate (come già ribadito con precedente sua circolare del 5.08.2011 n.42) può fornire indicazioni solo in relazione all’interpretazione di una norma tributaria, ma non è in alcun modo competente sull’interpretazione di norme civilistiche, quale la legge 431/98, pertanto non è in grado di fornire indicazioni sulle modalità di stipula e di rinnovo dei contratti di locazione, in quanto ciò esula dalle sue competenze. Quindi ha detto, in buona sostanza, che non sta all’Agenzia delle Entrate stabilire quale sia l’ulteriore durata dei contratti al momento del loro rinnovo (rinnovo che all’Agenzia interessa ai soli fini fiscali), ma è il contribuente che deve decidere per quanto tempo rinnovarlo.
Anche alla luce del parere di cui sopra, che appare non solo giusto ma addirittura ovvio, il comportamento degli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate, che pur non avendo competenza in materia vogliono imporre ai locatori la loro decisione sulla durata dei rinnovi contrattuali, non può che ritenersi un vero e proprio abuso, illegittimo e ingiustificato, abuso che dovremmo contestare e contrastare in ogni modo, nell’interesse dei nostri iscritti e di tutti i proprietari immobiliari, nell’attesa di un intervento risolutore della Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate che censuri, una volta per tutte, il comportamento illegittimo dei propri uffici periferici.
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In questo panorama, già alquanto confuso in relazione alla normativa sui contratti concordati, a complicare le cose recentemente è intervenuta una sentenza della III sezione della Corte di Cassazione (n.16279 del 4 agosto 2016) che, sulla questione del diniego di rinnovo alla prima scadenza di tali contratti, ha creato non poco scompiglio tra gli addetti ai lavori.
La massima della sentenza, infatti, secondo cui “qualora non sia intervenuta una trattativa per il rinnovo non perfezionatosi, la locazione si deve intendere automaticamente cessata alla scadenza del triennio senza necessità di disdetta”, sembrava demolire le nostre (poche) certezze formatesi almeno su questo punto.
Se c’era infatti un punto fermo nell’interpretazione dell’art. 2 comma 5 L. 431/98, era proprio in relazione al diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza triennale, ritenuto possibile, da parte del locatore, solo in presenza di uno dei motivi tipici previsti dalla legge, diniego da comunicarsi al conduttore con lettera raccomandata almeno sei mesi prima della scadenza; per cui, in mancanza di tale diniego, il contratto doveva intendersi prorogato di diritto per altri due anni.
Affermare, invece, che alla prima scadenza il contratto si deve intendere cessato senza necessità di disdetta qualora le parti non abbiano precedentemente intavolato trattative per il rinnovo del contratto, contraddiceva l’interpretazione che, da sempre e da tutti, era stata data della norma.
Si era poi aggiunta, tanto per rincarare la dose, una pronuncia del Tribunale di Modena, emessa dal Giudice Dr. Masoni, autorevole giurista esperto di diritto delle locazioni, che aveva fatto proprio l’orientamento espresso dalla Cassazione.
Fortunatamente il Tribunale di Reggio Emilia, con una recentissima sentenza (la n.1676 del 28.12.2018), ha efficacemente chiarito l’ambito e la portata della succitata pronuncia della Suprema Corte.
Dalla lettura attenta della sentenza, il Giudice di Reggio ha giustamente evidenziato come la Corte abbia affermato un principio a tutela del solo conduttore, che nel caso esaminato aveva interesse a far cessare il contratto alla fine dei primi tre anni contro la volontà del locatore, che pretendeva che il contratto proseguisse per altri due anni, sostenendo che il conduttore non potesse recedere dal contratto alla prima scadenza se non per gravi motivi.
Secondo la tesi sostenuta dal locatore nel caso esaminato dalla S.C., la possibilità della cessazione alla prima scadenza sarebbe riconosciuta dalla legge 431/98 al solo locatore e, peraltro, non con una disdetta immotivata, bensì con una disdetta motivata da particolari motivi indicati dalla legge; in mancanza di tale eventualità, la locazione continuerebbe per il periodo di due anni successivo alla prima scadenza, in quanto il potere di disdetta immotivata del conduttore non sarebbe in alcun modo previsto dalla norma con riferimento alla scadenza del primo periodo di durata triennale.
Decidendo il caso, la Cassazione ha invece dato ragione al conduttore, affermando il seguente principio di diritto: “il secondo inciso della L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 5, deve interpretarsi nel senso che la locazione si intende prorogata di un biennio alla scadenza del triennio di durata previsto dalla legge (sempre che il locatore non abbia in relazione ad essa dato la prevista disdetta motivata) soltanto qualora il conduttore abbia anteriormente manifestato l’intenzione di rimanere nell’immobile e, quindi, se egli abbia proposto la conclusione di un rinnovo ed essa sia stata rifiutata dal locatore oppure se una simile proposta l’abbia fatta il locatore al conduttore sempre anteriormente e questi l’abbia rifiutata (ritenendola non conveniente). In mancanza di una di tali eventualità, cioè sostanzialmente se non sia intervenuta una trattativa per il rinnovo non perfezionatasi, la locazione si deve, invece, intendere automaticamente cessata alla scadenza del triennio senza necessità di disdetta da parte dello stesso conduttore, trovando applicazione la disciplina dell’art. 1596 c.c., comma 1.”
In buona sostanza la Corte, nell’interpretare la norma in questione (art. 2 L. 431/98), ha affermato un principio nuovo, ma solo in relazione alla possibilità di recesso da parte del conduttore, il quale sarebbe esonerato dal disdettare il contratto alla prima scadenza triennale se non siano state in precedenza intavolate trattative tra le parti volte alla stipula di un nuovo contratto.
Per quanto riguarda il locatore, invece, come scrive il Giudice di Reggio Emilia, “si dovrà intendere che per il locatore sussiste la possibilità di disdetta del contratto alla prima scadenza solo nei casi tassativi previsti dall’art. 3 L. 431/98”.
Per concludere, non vi è stato nessun cambiamento di rotta da parte della Cassazione sul fronte del diniego di rinnovo da parte del locatore, che può essere esercitato solo per i motivi previsti dalla legge.
Il Vicepresidente Nazionale ASPPI – avv. Maria Carmen Consolini
Pubblicato da Asppi Nazionale